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RAPPORTO DELLA COMMISSIONE D'INCHIESTA NOMINATA DALLA C.G.I.L.
Allegati al rapporto della Commissione d'inchiesta
I lavori della commissione d'inchiesta nominata dalla CGIL terminarono il 3 giugno 1954, quando ancora due corpi dei minatori giacevano nella miniera.
La relazione esaminò la situazione della miniera di Ribolla con riferimento al periodo dell'ultima gestione aziendale, ai metodi di coltivazione adottati, ai motivi per cui questi stessi erano stati contestati e descrisse quella che si riteneva essere stata la dinamica del disastro.
Il documento risulta diviso in due parti distinte.
Una rappresenta un esplicito atto di accusa alla Montecatini, giudicata diretta responsabile dell'accaduto: "Il tremendo infortunio non è dovuto a quell'imponderabile con cui la Montecatini ha tentato di giustificarsi nei suoi comunicati, ma bensì costituisce il tragico ed inevitabile punto di arrivo di una politica aziendale rivolta esclusivamente all'incremento dei profitti della Società esercente, a costo dei più duri sacrifici e della perdita della vita stessa da parte dei lavoratori della miniera".
Anche il capo del distretto minerario di Grosseto venne denunciato come corresponsabile della sciagura, sia per aver concesso l'autorizzazione ad introdurre il sistema di coltivazione per franamento in cantieri a fondo cieco, sia per non aver adempiuto ai propri precisi compiti di verifica sulla applicazione delle misure di sicurezza che egli affermava aver imposto alla società, sia ancora per non aver tenuto nel dovuto conto le denunce inviategli dai minatori e dalle loro organizzazioni, ed anzi averle contestate.
L'altra parte del documento consiste nella ricostruzione, fatta attraverso le testimonianze degli operai ed i dati relativi alla situazione interna della miniera, dell'accaduto.
La sezione Camorra costituiva la parte meridionale della miniera di Ribolla, la più ricca e la più recente. Infatti i pozzi 9 e 9 bis furono approntati nel 1948, ad una distanza di circa quaranta metri l'uno dall'altro.
Quattro anni più tardi furono collegati sia con il pozzo 10 che con il pozzo Raffo, distante circa un chilometro.
I quattro pozzi erano fra loro collegati da una galleria di livello che correva a quota 265: era la galleria principale, con volte in muratura, illuminata al neon, la galleria che di solito veniva mostrata ai giornalisti invitati dalla direzione.
I pozzi 9 e 10 erano vie di entrata dell'aria mentre il 9 bis era un pozzo di riflusso, munito di un ventilatore aspirante.
<<: Lo scoppio è avvenuto verso le ore 8,30 nella sezione Camorra all'estremità sul della miniera.
La violenza dello scoppio si è rivelata immediatamente per lo stesso effetto sul pozzo di riflusso 9 bis che è stato scoperchiato dallo spostamento d'aria.
All'interno ha provocato vittime sia al livello meno 260 che al livello meno 210. Le vittime appartenevano alle compagnie 12, 13, 40, 41 e 837; un altro gruppo di morti erano operai addetti alla squadra di salvataggio ed altri lavori, che in quel momento si trovavano a transitare nella galleria principale di carreggio al livello meno 260 e nella galleria "vecchia 31".
Con tutta probabilità l'esplosione ha avuto origine all'estremo sud della galleria di base del livello meno 260 (galleria vecchia 31). In tale tratto di galleria i quadri delle armature risultano abbattuti verso l'imbocco della galleria stessa, per cui è da considerarsi accertato che lo scoppio è avvenuto nell'ultimo tratto della galleria vecchia 31>>.
Questa galleria era stata costruita 15-18 mesi prima e gli operai che vi avevano lavorato dichiararono che si avvertiva una notevole emanazione di gas che proveniva dal banco di carbone sottostante; lo scavo venne proseguito per 80-90 metri di lunghezza, poi i lavori furono sospesi e la galleria sbarrata con un "tappo".
Poco tempo dopo, ad alcuni metri di distanza dal tappo, fu scavata una discenderia che si ricollegava alla galleria 32.
È proprio nella discenderia che nel luglio del 1953 si sviluppò un incendio nel quale rimasero feriti due operai; a seguito di questo infortunio anche la discenderia fu sbarrata con un tappo.
Il 3 maggio 1954 i due tappi furono rimossi, riattivando così la circolazione dell'aria attraverso la discenderia 31 e la galleria 32.
Alla riapertura dei tappi si notò subito la ripresa del fuoco all'imbocco della discenderia.
Durante la notte fra il 3 e il 4 maggio l'incendio fu particolarmente attivo, con un denso fumo che invadeva le rimonte laterali della vecchia galleria 31.
È evidente che in questa zona, dove si presume abbia avuto origine l'esplosione, erano concomitanti vari fattori di pericolo di scoppio dovuti alla presenza di incendi di vecchia data, a gallerie abbandonate, a elevata temperatura, e quindi a possibilità di accumulo sia di grisou sia di gas di distillazione del carbone; inoltre le condizioni del settore subirono nel giorno e nella notte precedenti il disastro, bruschi mutamenti a causa delle inversioni di circolazione dell'aria in occasione della riapertura dei tappi e dell'opera di spegnimento degli incendi.
L'esplosione sviluppò il suo massimo effetto lungo la galleria vecchia 31 che si trovava in prosecuzione diretta del fondo cieco della galleria 9. Nel suo interno è stato trovato il cadavere di un operaio la cui morte è stata provocata dal violento spostamento d'aria dell'esplosione; aveva solo lievi ustioni. In questo punto, situato ad una cinquantina di metri dall'incrocio con la galleria di carreggio, la fiamma dell'esplosione era già in decrescenza.
Nella galleria principale di carreggio, invece, si riscontrarono gli effetti di un'ulteriore esplosione violentissima: nove cadaveri, tutti ustionati, sono stati ritrovati in questa galleria, immediatamente a monte con la vecchia 31
. Lo spostamento d'aria ha causato la morte nella galleria principale di un operaio che si trovava presso il pozzo 10, ad oltre 150 metri di distanza dai nove precedenti e la morte di altri due operai che si trovavano in fondo alla galleria in direzione opposta.
L'esplosione si è poi diffusa fino al livello meno 240, dove ha provocato gravi franamenti e la morte di tutti i 10 operai delle compagnie 40 e 41, i cui cadaveri sono stati trovati gravemente ustionati.
La morte di altre 13 è stata provocata prevalentemente da ustioni.
Da queste constatazioni si deve dedurre che l'esplosione, originatasi in fondo alla galleria vecchia 31, ha provocato la successiva esplosione delle polveri di carbone, portate in sospensione nell'aria dalla prima esplosione.
Lo scoppio delle polveri di carbone deve essere avvenuto nello sbocco della vecchia 31 nella galleria principale di carreggio e l'esplosione si è propagata a monte di questa galleria e su per le rimonte che portano ai cantieri di lavoro.
COMUNICATO E TESI DELLA MONTECATINI.
Da un quotidiano:
<<Ogni ricerca e indagine immaginabile o possibile sull'origine dell'esplosione è già in corso, e sarà proseguita e condotta a termine con tutta ampiezza e precisione.
Ciò che fin da ora si può con certezza comunicare è che tutte le misure di sicurezza pienamente adeguate alla moderna e completa attrezzatura della miniera erano in perfetta efficienza.
Il che fa fondatamente presumere che le cause che hanno determinato la sciagura si debbano attribuire come purtroppo in tanti altri analoghi casi, a mera fatalità>>.
L'ipotesi elaborata dai tecnici della Montecatini circa la natura e la localizzazione dell'esplosione del 4 maggio era in netto contrasto con quelle formulate dalla commissione CGIL e dalla commissione ministeriale.
La Montecatini concluse che l'esplosione si fosse originata nella zona est della sezione Camorra e non in quella ovest e che la causa dello scoppio del grisou non poteva addebitarsi ad un incendio dato che nella zona est in quel momento non ne esistevano.
Si riteneva che si fosse verificato l'arresto di un ventilatore con il conseguente accumulo di grisou nei fondi ciechi. Un fatto questo di cui nessuno avrebbe potuto accorgersi perché nessun operaio era nella zona; il fatto stesso che nelle vicinanze del ventilatore fosse stato trovato il corpo di un operaio elettricista, faceva presupporre che questi, trovatolo disazionato, lo avesse rimesso in funzione pur contravvenendo alle più logiche regole della miniera.
In tal modo sarebbe stata provocata quella corrente d'aria sufficiente a spingere il grisou accumulatosi fino alla galleria di livello meno 240, dove qualsiasi scintilla avrebbe innescato la miscela esplosiva.
Le cause della scintille potevano essere svariate: dall'accensione di una sigaretta da parte di un operaio indisciplinato, ad un colpo di piccone, al difettoso funzionamento di una lampada a benzina.
Si escludeva che alla prima esplosione ne fosse seguita un'altra causata dall'accensione delle polveri di carbone perché in quel settore la polvere era del tutto inesistente.
RELAZIONE DELLA COMMISSIONE GOVERNATIVA D'INCHIESTA.
F u nominata con decreto del 5 maggio 1954 dal Ministro del lavoro Vigorelli; i membri erano: Lionello Levi - Sandri come presidente, Giovanni Girolamo, Gaetano Fracassi come membri e Enzo Mancia come segretario.
Il loro compito non fu semplice perché c'erano delle notevoli difficoltà tecniche e perché il clima politico e sociale era molto teso.
Il 15 luglio 1954 la commissione presentò la sua relazione.
L'esplosione era stata localizzata in un punto non precisato della zona ovest della sezione Camorra.
La causa dell'esplosione veniva individuata nell'accensione di una miscela di notevole consistenza di aria e metano, miscela resa esplosiva da una presenza di gas compresa fra il 6 e il 16%.
(Il metano è sempre presente nelle miniere di carbone e può distillarsi. Diviene pericoloso solo se compreso in una percentuale fra il 6 e il 16%; se è inferiore provoca solo inquinamento dell'aria, se è superiore non può esplodere perché è troppo poco l'ossigeno presente).
I motivi della presenza di grisou in quantità pericolosa potevano essere: a) vizio organico di ventilazione esistente nella sezione Camorra derivante da un tracciato ripetutamente ascendente e discendente del circuito dei riflussi (il grisou è più leggero dell'aria e tende ad accumularsi nelle zone alte della miniera; tali accumuli possono evitarsi con una ventilazione adeguata)
b) fatti contingenti avvenuti dalle ore 8 del primo maggio alle ore 8.25 del 4 maggio, e cioè:
- sospensione della ventilazione forzata dal primo al due maggio per più di 46 ore consecutive per procedere alla sostituzione di un ventilatore. Il primo maggio era sabato, e la direzione della miniera, approfittando delle due festività consecutive, fermò l'aspirazione del pozzo 9 bis; fu montato il nuovo aspiratore e il giorno successivo si attese che il cemento facesse presa.
Fu messo in azione alle ore 7 del 3 maggio, dopo 47 ore di fermata.
- numerose e ripetute variazioni ed inversioni nei circuiti di ventilazione della zona Camorra.
La mattina del 3 maggio, verso le 9, l'ing. Baseggio ebbe modo di constatare che la porta regolatrice della rimonta 23 era stata lasciata aperta e che quindi era stato deviato il circuito normale di ventilazione nella zona alta della sezione Camorra.
Alla prima esplosione la Commissione ritenne che ne fosse seguita una seconda, quella delle polveri di carbone.
Circa la sorgente calorica che aveva determinato l'accensione della miscela la Commissione affermò che doveva aver superato una temperatura di 650° se aveva potuto agire per almeno dieci secondi o 1000° per un'azione istantanea; disse anche che la più probabile causa erano gli incendi esistenti alla sommità della discenderia 32 presso il punto di congiungimento con la galleria 31.
Il fuoco, manifestatosi immediatamente all'apertura del tappo della 31, alle 6.40 del 4 maggio non risultava ancora spento ed inoltre, da quel momento al momento dell'esplosione era rimasto incustodito ed esposto a correnti d'aria.
Nel tentativo di spegnerlo si alterò la ventilazione, spingendo l'aria del pozzo 9 nella discenderia 32, ma anche questo pericoloso stratagemma fu inutile.
Il lavoro di spegnimento avrebbe dovuto essere proseguito dalla squadra antincendi, che però non raggiunse mai la discenderia 32. Gli operai che la componevano morirono tutti alla base della galleria 265.
<< Bianciardi - Cassola: il fuoco della discenderia 32 è, molto probabilmente, la sorgente termica che innescò il grisou nel tratto alto della sezione Camorra.
L'inversione temporanea del circuito di aerazione ha permesso ad una lingua di fuoco di entrare in contatto con il gas, ormai miscelato in proporzioni esplosive>>
Secondo la Commissione non vi erano correlazioni fra il sistema di coltivazione a franamento ed il disastro, nemmeno fra disastro e lavorazione a fondo cieco, sistema di ventilazione e meccanica del fatto.
Le conclusioni vennero riassunte sotto tre voci:
I) osservanza nella miniera di Ribolla delle norme di sicurezza sul lavoro;
II) cause;
III) conseguenze.
Osservanza delle norme di sicurezza
Relazione della commissione:
1) la coltivazione a fondo cieco era in contrasto con la norma n.9 del regolamento di polizia mineraria che citava: "ogni lavorazione sotterranea deve avere almeno due uscite all'esterno, distinte ed accessibili entrambe in ogni tempo agli operai occupati nei cantieri".
2) In materia di ventilazione, nella sezione Camorra, non risultava osservata la norma n.28 del R.P.M che stabiliva di "rendere indipendente per quanto possibile la ventilazione di ogni singolo cantiere".
È infatti pericoloso creare un sistema di ventilazione in cui l'aria di riflusso, viziata, proveniente da un settore della miniera, vada ad aerare altri settori.
3) Veniva definito errato ed in contrasto con le norme il circuito di ventilazione dell'intera sezione Camorra in quanto, in numerose delle sue zone, il giro d'aria (ed in particolare il riflusso) era discendente e costituiva un pericolo continuo a causa del possibile ristagno di gas nei punti più alti.
Il circuito di ventilazione doveva avere un andamento ascendente continuo: il punto iniziale doveva essere più basso di quello finale così da evitare gli accumuli nelle zone alte.
4) Tale irregolarità era aggravata dal fatto che il riflusso percorreva, per un tratto sia pur breve, la via di ingresso di aria.
Questa era un'ulteriore infrazione dell'art. 28 del R.P.M. che recitava: "le vie destinate all'entrata e all'uscita dell'aria devono essere divise da sufficiente spessore di roccia tale da resistere all'esplosione".
In caso contrario l'esplosione può mettere in contatto le vie di afflusso d'aria con quelle di reflusso, invertire il sistema di ventilazione, propagare ovunque i suoi effetti mortali.
5) "nei giorni 1, 2, 3, 4 maggio numerose sono state le infrazioni all'art. 33 del regolamento di prevenzione ed infortuni nelle miniere e cave del 18 giugno 1899 n. 231, in quanto rimossi gli sbarramenti eseguiti per dirigere la corrente d'aria nei cantieri, e lasciate aperte porte regolatrici ed attuatici, ed essendosi ripetutamente variato più o meno gravemente il circuito di ventilazione"
6) il giorno 3 maggio "vi è stata infrazione al punto 8 comma 2 del verbale dei Provvedimenti del D.M. 12 dicembre 1953, in quanto dopo 46 ore di sospensione della ventilazione forzata si sono fatti accedere gli operai al posto di lavoro senza aver fatto funzionare l'aeraggio per un periodo di tempo sufficiente alla eliminazione del grisou eventualmente accumulatosi e senza che nessun incaricato della direzione si fosse accertato se tale eliminazione aveva avuto luogo"
7) "il controllo del grisou non risultava effettuato con quei mezzi, scrupolo e frequenza richiesti dalla miniera".
8) Molto spesso risultava essere inosservata la norma dell'art. 25 del R.P.M. che consente lo sparo delle mine solo tra un turno e l'altro di lavoro.
9) Si era constatato che il locomotore a batteria impiegato nella galleria di carreggio di livello meno 265, di cui un breve tratto era attraversato dall'aria di riflusso, non era di tipo anti - grisou.
10) Non vi erano altre segnalazioni particolari da farsi.
La relazione della Commissione d'inchiesta ha quindi appurato che il sistema di ventilazione della sezione Camorra era insufficiente e contrario alle norme sia dell'arte che della polizia mineraria; che tale sistema fu sospeso, alterato e invertito proprio nei giorni immediatamente precedenti alla sciagura.
Veniva segnalato dalla commissione come fosse particolarmente curato l'armamento delle gallerie, delle rimonte e dei cantieri; come la rete di distribuzione del fango desse garanzia di efficace intervento per aggredire i fuochi eventualmente manifestatisi nelle frane ed anche che l'impianto elettrico (eccettuato il locomotore) non dava luogo a rilievi.
Per le voci "cause" e "conseguenze" si rimanda a quanto già detto inizialmente.
LA SENTENZA DEL TRIBUNALE DI VERONA.
L o stesso 4 maggio iniziò il procedimento penale che portò la sezione istruttoria della corte d'Appello di Firenze ad emettere mandato di cattura contro gli ingegneri:
- Lionello Padroni, direttore della miniera di Ribolla,
- Giulio Rostan, direttore generale del settore miniere della Montecatini,
- Gaetano Carli, direttore tecnico delle miniere della Maremma della società Montecatini,
- Antonio Marcon, capo servizio principale della miniera di Ribolla,
- Vittorio Baseggio, capo servizio addetto alla sezione Camorra,
- Tullio Seguiti, ingegnere capo del distretto minerario di Grosseto.
Tutti furono accusati di disastro colposo, sia pure con motivazioni diverse, e di omicidio colposo nei confronti delle 43 vittime che il disastro aveva provocato.
Il 10 maggio 1957 la Corte di Cassazione rimise gli atti istruttori al tribunale di Verona, incaricandolo di portare avanti la causa penale in oggetto fino all'emissione della sentenza definitiva, che infatti venne pronunciata il 26 novembre 1959 con la formula di assoluzione piena per tutti gli imputati.
Nel corso dell'istruttoria i familiari delle vittime si erano costituiti parte civile ma rinunciarono e non si presentarono durante il dibattimento processuale, poiché la Montecatini aveva liquidato i danni da loro subiti (probabilmente 500.000 lire alla vedova e 1.000.000 di lire per ogni figlio, a saldo di ogni danno morale e materiale).
Il tribunale di Verona fece presente come, nella causa in questione, fosse tutto molto incerto: le cause, il punto dell'esplosione, la natura del gas e come non ci fossero delle prove certe da poter portare per dimostrare la colpevolezza dei dirigenti della Montecatini
. Nessuna prova poteva essere accettata come unica nel giudizio della Corte: gli imputati sostenevano che l'esplosione si era originata nella zona est della sezione Camorra mentre il P.M sosteneva che invece si era originata in quella ovest; secondo i periti di ufficio il gas non era grisou ma gas di distillazione.
Le tecniche di lavorazione a franamento e a fondo cieco non furono ritenute influenti nella dinamica del disastro.
La sentenza di assoluzione si concludeva così:
<< E' giusto e doveroso scrivere, al termine di questa motivazione, che i 43 minatori di Ribolla sono stati uccisi da una tragica fatalità e non dall'incuria, dall'imprudenza e dalla egoistica speculazione di altri uomini.
Saranno così ricordati e onorati come vittime dell'eterna dura lotta dell'uomo per il suo sopravvivere e progredire.
La formula di assoluzione non può essere che "per non aver commesso il fatto" nella considerazione che, pur non essendo del tutto mancata la prova circa la natura colposa del disastro (nel caso della più probabile ipotesi della Falda Ovest ne sarebbe causa colposa l'abbandono intempestivo dell'opera di spegnimento) è certo che nessuno degli imputati ha, neppure in minima parte, concorso a cagionarlo >>.
La sciagura di Ribolla non fu dovuta ad una "tragica fatalità" ma alla consapevole inadempienza di precise norme di polizia mineraria.
Il sistema di lavorazione a fondo cieco, in contrasto con l'art. 9 del regolamento, non è stata la causa del disastro, ma certamente lo ha aggravato.
La circolazione d'aria e la ventilazione non rispettavano i principi dell'arte mineraria e nemmeno le disposizioni sancite dal regolamento.
La sciagura è successa perché non si teneva in sufficiente e doverosa considerazione la vita dei minatori.
Accanto alle palesi responsabilità penali ne esistono altre di ordine umano e sociale...quando si perde una persona cara è umano maledire chi le ha fatto del male mentre era in vita.
M. Palazzesi. Ribolla storia di un villaggio minerario. Ed. Il Leccio. 1983
Bianciardi - Cassola. I minatori della Maremma. Hestia edizioni.
Sunto e organizzazione delle informazioni: Laura