GIORNALE DEL MATTINO

del 25 novembre 1958

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LE RICHIESTE DEL P.M.
AL PROCESSO PER RIBOLLA

Verona, 24.
La morte dei quarantatre minatori, uccisi la mattina del 4 maggio 1954, nell'esplosione di Ribolla ricade sulle spalle di due tecnici della Montecatini, proprietaria della miniera.
Essi sono il geometra Marcon e l'ingegner Baseggio entrambi addetti, in quel periodo, alla direzione e alla sorveglianza dei lavori. Con la loro negligenza, con la loro imperizia, sia pure senza rendersene conto, essi provocarono la sciagura.
Questa è stata la tesi, sostenuta oggi davanti al tribunale di Verona, del pubblico ministero dott. Bianchi. Sempre secondo il magistrato il direttore della miniera – l'ing. Leonello Padroni – non è responsabile di quanto avvenne perché al momento della sciagura si trovava a Milano.
“Marcon e Baseggio – ha detto il dott. Bianchi – sono responsabili di omicidio colposo continuato e di disastro minerario. Chiedo che vengano condannati rispettivamente a 7 e 5 anni di carcere. È il minimo della pena per un reato tanto grave. Non dimentichiamoci, signori del tribunale, che ci sono 43 morti dietro le nostre spalle”.
Per gli altri quatto imputati il dott. Bianchi ha chiesto invece l'assoluzione con la formula più ampia. L'ing. Rostan, direttore delle miniere della Montecatini, l'ing. Carli responsabile di quelle che la società gestisce in Maremma, e l'ing. Seguiti capo del distretto minerario di Grosseto non hanno commesso – egli ha detto – alcun reato.

Reazioni
Gli imputati hanno ascoltato le richieste del P.M. con commozione. “Sette anni sono troppi!” ha esclamato Marcon.
L'ing. Rostan quando ha capito che il dott. Bianchi lo scagionava di ogni responsabilità, ha cominciato a singhiozzare.
Il P.M. prima di giungere alle sue conclusioni aveva parlato per nove ore occupando l'intera udienza. Egli ha sostenuto che un incendio fu la causa dell'esplosione a Ribolla. I dirigenti lo sottovalutarono e non riuscirono a domarlo in tempo. “In una galleria – ha detto – della lignite aveva preso fuoco due giorni prima della sciagura. Il combustibile, bruciando, provocò la formazione di una miscela che i chimici chiamano 'gas da distillazione'. Ebbene – ha proseguito il P.M. - questa miscela si incendiò e esplose. Bastava aver saputo domare l'incendio per evitare il disastro”.
Marcon e Baseggio, secondo il dott. Bianchi, dovevano:
1. - far sgombrare l'intero settore della miniera lasciando soltanto le squadre antincendio;
2. - impegnare il maggior numero di persone nell'opera di spegnimento;

Confutazioni
3. - isolare i focolai chiudendo la galleria incendiata con dei “tappi di argilla”;
4. - azionare in modo più prudente i ventilatori dell'aria.
La miniera, per l'assenza dell'ing. Padroni, era nelle loro mani e perciò potevano disporre come meglio credevano.
“Invece – ha continuato il magistrato – l'incendio durò più di venti ore e loro non scesero mai nei pozzi per rendersi conto di ciò che accadeva”.
Sulla presenza dell'incendio nella “falda ovest” si impernia tutta la tesi dell'accusa.
Gli imputati, dal canto loro, sostengono invece che quando avvenne l'esplosione i focolai erano già spenti. Il dott. Bianchi ha confutato queste argomentazioni. “Due ore prima del disastro – ha esclamato – c'erano invece carboni accesi in molti punti. Semprini, il capo pompiere – ha aggiunto il dott. Bianchi – ordinò infatti di allungare i tubi dell'acqua per continuare più agevolmente l'opera di spegnimento”.
“Come si spiegherebbe altrimenti – ha insistito il dott. Bianchi – il fumo che usciva dalla miniera e gli operai rimasti intossicati per l'ossido di carbonio?”.
La difesa degli imputati sostiene invece che la sciagura fu provocata dal grisou sprigionatosi dalle pareti della miniera e accumulatosi nella falda est.
Quarantatre minatori morirono – sostengono gli avvocati – per colpa di un ventilatore che si era fermato. Quando un elettricista lo riattivò avvenne il disastro: l'aria, spinta con violenza, urtò – essi dicono – in una lampada a benzina provocando una scintilla.
“Non è vero – ha esclamato a questo proposito il dott. Bianchi -. E' facile – ha aggiunto – dare la colpa a un morto e al destino”.
“Come mai – si è chiesto inoltre il pubblico accusatore – nessuno avvertì la direzione che il ventilatore si era fermato?”.
“Il grisou non c'entra! - ha esclamato ancora il pubblico ministero -. Se l'incendio fosse stato 'aggredito' secondo le regole dell'arte mineraria, 43 operai sarebbero ancora vivi nelle loro famiglie”.
Il P.M. ha scagionato la direzione della Montecatini nella persona dell'ing. Rostan da ogni responsabilità diretta. La coltivazione a “fondo cieco” sebbene più economica per la società e più pericolosa per gli operai, non ha però influito sulla sciagura.
Contrariamente a quanto sostenuto dal giudice della sezione istruttoria anche l'ing. Carli e l'ing. Rostan non possono ritenersi colpevoli.
Domani parleranno gli avvocati del collegio di difesa. Sono dodici ma i patrocinatori di Padroni, Rostan, Carli e Seguiti per i quali è stata chiesta l'assoluzione rinunzieranno probabilmente alla parola.
Una grossa fatica attende invece gli avvocati Castelnovo Tedesco e Ostorero, difensori di Marcon e Baseggio. Il pubblico ministero, parlando dei loro clienti ha detto: “la pena prevista per i loro reati è di dodici anni. Il tribunale dovrà attenersi perciò alle mie richieste, formulate con molta bontà e comprensione”.
Per mercoledì è prevista la sentenza.

(Archivio Roberto Calabrò)

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