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GIORNALE DEL MATTINO del 26 novembre 1958 |
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AL PROCESSO PER RIBOLLA
LA PAROLA E' AI DIFENSORIVerona, 25.
La grande battaglia è cominciata. Da stamani, al tribunale di Verona, dodici avvocati ed altrettanti consulenti tecnici cercano di dimostrare l'innocenza di Antonio Marcon e di Roberto Baseggio, sostenendo che i due dirigenti della Montecatini non sono responsabili di quanto avvenne nella miniera di Ribolla, quattro anni fa.
In pratica il compito dei legali è quello di demolire la tesi del pubblico ministero, dott. Bianchi, dimostrando che è infondata, come lo fu la sentenza di rinvio a giudizio redatta, a suo tempo, dalla sezione istruttoria di Firenze.
Ieri, sostenendo la colpevolezza dei due imputati, il pubblico accusatore chiese al tribunale di condannarli a sette anni e cinque anni di carcere.
E' la pena più mite, per un reato tanto grave esclamò il dott. Bianchi -. Io aggiunse mi batterò perché non venga diminuita neppure di un giorno.
Noi ha iniziato, invece, stamani, l'avv. fiorentino Castelnuovo Tedesco vogliamo l'assoluzione completa.
Una notte insonne
Stanotte avvocati difensori e consulenti hanno vegliato. In una riunione durata molte ore è stata decisa infatti la linea di azione per la grande battaglia di oggi e di domani.
Le ultime parole della difesa saranno affidate a De Marsico o a Delitala, che concluderanno la causa, ribattendo i concetti fondamentali sostenuti durante due mesi di dibattito: assoluzione di tutti gli imputati perchè non hanno commesso alcun reato; con la conclusione quindi che la sciagura fu provocata dalla fatalità.
Il duello fra accusa e difesa che ha visto tornare a Verona una decina di giornalisti è cominciato con l'arringa dell'avv. Stanislao Tino, patrono del perito minerario Marcon.
Secondo l'accusa Marcon è il principale imputato del disastro. Assente il direttore della miniera, i servizi di sicurezza, anziché passare al vice direttore, dipendevano direttamente da lui.
Egli secondo l'accusa, i periti di ufficio e soprattutto stando alla tesi sostenuta ieri dal pubblico ministero non seppe domare un piccolo incendio sviluppatosi il giorno precedente l'esplosione. Lo sottovalutò, non fece sgombrare la miniera, mise in movimento alcuni ventilatori, alimentando addirittura le fiamme.
A causa di questo incendio, si formò ha sostenuto il pubblico ministero una miscela esplosiva che determinò il disastro.
Marcon ha detto, invece, stamani, l'avvocato Tino ha fatto il suo dovere. Egli adoperò le squadre di pompieri secondo le regole dell'arte mineraria. L'incendio sviluppatosi il tre maggio ha concluso il primo legale della difesa non è stato comunque la causa del disastro.
L'avv. Castelnuovo Tedesco si è dilungato per tre ore su questo argomento. Egli assiste insieme al senatore De Marsico, l'ing. Baseggio. Le sue argomentazioni difensive sono uguali a quelle sostenute per Marcon. Anche Baseggio, infatti, responsabile della parte della miniera dove si verificò l'incendio, è accusato di non averlo saputo domare.
Baseggio è stato tradito! - ha detto Castelnuovo Tedesco -. Voi dell'accusa sostenete che l'incendio fu la causa dell'esplosione. Ebbene ha proseguito il legale in questo caso Baseggio e Marcon non hanno colpa alcuna.Capro espiatorio
Gli operai incaricati di domare le fiamme, il mattino del quattro maggio, verso le sei, uscirono dai pozzi, dicendo che tutta la lignite era spenta. Che cosa doveva fare il mio cliente? - si chiede il legale -. Doveva forse scendere a vedere se avevano detto la verità? Nell'ipotesi che 43 minatori siano morti per colpa dell'incendio, la responsabilità di tutto non ricade su Baseggio e Marcon, bensì sugli operai che avevano avuto il compito di domare le fiamme. In questa sciagura ha proseguito l'avv. Castelnuovo Tedesco c'è bisogno di un capro espiatorio e così si sono portate in aula le teste dei due funzionari della Montecatini. È stata una fatalità, invece, a uccidere i minatori e non la negligenza o l'imperizia dei loro dirigenti.
Nel pomeriggio ha parlato l'avvocato Umberto Ostorero. L'avv. Ostorero fu vittima di uno scherzo di cattivo gusto, la settimana scorsa; durante la trasmissione di Lascia o raddoppia, qualcuno telefonò alla TV a suo nome e a sua insaputa, dicendo che il penalista era disposto a regalare un milione a un concorrente sfortunato. Stamani, in aula, i colleghi del legale commentavano scherzosamente l'episodio. Ostorero ha confutato, argomento per argomento, le tesi del pubblico ministero, circa la causa dell'esplosione.
Caro dott. Bianchi ha detto rivolto al magistrato lei ha sposato la tesi dell'incendio perché era la più possibile, la più facile, senza però avere le prove per dimostrarne la fondatezza.
A questo proposito il legale si è richiamato alla deposizione del capo pompiere Semprini, sulla quale eri mattina aveva avuto buon gioco anche la pubblica accusa. Semprini, difatti, durante l'istruttoria, ammise che la mattina del quattro maggio, quando si verificò la sciagura, c'erano ancora diversi focolai nella miniera. In aula, invece, ritrattò in parte queste ammissioni.
Se non si crede a quello che Semprini ha detto in aula ha affermato stasera l'avv. Ostorero non si deve neppure tenere conto di ciò che egli disse in istruttoria.
E il fumo? L'accusa sostiene infatti che una colonna di fumo usciva dalla miniera prima dell'esplosione: la lignite, quindi, continuava a bruciare. Era vapore, non fumo ha spiegato Ostorero -. Pensate ha detto che nella miniera erano stati buttati tremila litri di acqua. L'epicentro dell'esplosione, in ogni caso ha continuato il penalista milanese non è avvenuta nella galleria 31 dove c'era stato l'incendio, bensì alla falda ovest, per una infiltrazione di grisù.
Secondo la difesa un morto, l'elettricista Luschi, che azionò il famoso ventilatore e il fiato del diavolo, sono gli unici responsabili del più grande disastro minerario italiano.
Riusciranno a convincere il tribunale di Verona?
Toglieranno dalla testa di Marcon e di Baseggio la minaccia di sette e di cinque anni di carcere che pende dopo la requisitoria del pubblico ministero?
Lo sapremo domani sera, a tarda ora, quando il presidente Rodini leggerà la sentenza.
GIAN PAOLO CRESCI(Archivio Roberto Calabrò)