LA NAZIONE ITALIANA

del 28 ottobre 1958.

Il processo per la sciagura di Ribolla

 

SI POTEVA EVITARE IL DISASTRO?

I periti dettero una risposta affermativa – Invece di proseguire nell'inutile opera di spegnimento si doveva isolare nuovamente la zona pericolosa -
La deposizione dell'ingegnere Madotto

Verona, 27 ottobre.
“Al momento della esplosione”, ha detto stamani alla ripresa del processo, l'ingegner Vittorio Madotto, attuale direttore di Ribolla, “io non ero presente in miniera dalla quale mancavo da circa tre mesi. Non sono perciò in grado di fornire molte indicazioni sulle circostanze e sulle cause del disastro. Posso dire soltanto, riguardo ai sistemi di coltivazione in uso allora, che oggi a Ribolla i lavori procedono col medesimo sistema: quello, cioè, introdotto dall'ingegner Lionello Padroni”.
“Due sole”, ha soggiunto l'ingegner Madotto, “le modifiche che si sono dovute apportare nel frattempo, in base a prescrizioni del distretto minerario: è stata ridotta la profondità dei cosiddetti “fondi ciechi” ed è stata creata una galleria di testa: ciò esclusivamente allo scopo di attenuare il calore dell'aria che, in una miniera come quella di Ribolla, è sempre di grado piuttosto elevato. La portata dell'aria è infatti rimasta immutata, dato che sono tuttora in funzione le stesse prese e gli stessi ventilatori”.
All'ingegner Madotto, che è stato il più importante testimone della giornata, il presidente ha chiesto vari chiarimenti di carattere generale, cercando soprattutto di puntualizzare la questione relativa all'attività della squadra antincendio.
Come si ricorderà, un elemento alquanto dubbio affiorò l'altro giorno a proposito della deposizione del teste Semprini, capo della squadra in parola. Il Semprini dichiarò che alle sette in punto di quella tragica mattina, concluso il suo turno, egli aveva lasciato il settore dell'incendio senza attendere che altri specialisti venissero a sostituirlo. Gli fu chiesto il perché di quella puntuale rotazione di orari e il Semprini si giustificò dicendo: 1) che gli operai “smontavano” per norma quando scattava l'ora, senza aspettare quelli del turno successivo; 2) che egli era d'altronde più che tranquillo, avendo lasciato alle sue spalle, nell'andarsene, un incendio totalmente domato.

Questioni di orologio
A questa spiegazione il presidente torse un poco la bocca. La cosa non lo persuadeva gran che. I periti, nelle loro conclusioni, si erano espressi in termini ben diversi sulla pericolosità di quell'incendio e sui criteri adottati per combatterlo.
“Il disastro, nel suo assieme”, avevano scritto i periti d'ufficio, “avrebbe potuto essere evitato se nel pomeriggio del giorno tre si fosse rinunciato a proseguire nei vani tentativi di spegnimento e se si fosse invece provveduto a segregare nuovamente la zona pericolosa”.
Ma il Semprini insistette con una certa caparbietà nella sua affermazione e venne rilasciato.
“E' mai possibile”, ha domandato stamani il presidente al nuovo direttore di Ribolla, riprendendo l'argomento, “che il sistema dei turni a rotazione funzioni unicamente in base a questioni di orologio?”.
L'ingegnere ha scosso la testa in senso negativo. “Il sistema di avvicendamento dei lavori in miniera”, ha detto, “è regolato, si, sulla base degli orari: ma specie per compiti come quello della squadra antincendio, ogni operaio ha l'obbligo, giunto il suo momento di smontare, di attendere il cambio senza lasciare il posto di lavoro. Questa è una norma generale, rigorosamente osservata in tutte le miniere, senza eccezioni per Ribolla”.
“Però l'operaio Semprini la mattina del 4 maggio si allontanò dal suo posto, e non attese affatto il cambio. È possibile che ignorasse i regolamenti?”.
“Impossibile. Questa è una delle prime cose che vengono osservate per l'andamento di una miniera. Uno deve attendere, anzi, deve continuare a lavorare anche per un'ora se è necessario. Le cose sono stabilite d'altra parte in modo tale che, qualora questo avvenga, nessuno resti danneggiato. Il lavoro eseguito in più, oltre l'orario, viene debitamente registrato e retribuito a parte. Ciò proprio per evitare che qualcuno, non intendendo lavorare a vuoto, decida di propria iniziativa di attenersi rigorosamente all'orario che gli è stato assegnato. E ciò vale anche per i casi in cui chi smonta lasci dietro di sé un'operazione praticamente conclusa: per quanto esperto di cosa minerarie egli possa essere, non tocca a lui stabilirlo”.
“Dunque, quella mattina, chi lasciò il pozzo badando solamente alle lancette del cronometro, secondo voi, agì male?”.
“Malissimo”.
Altro teste di un certo rilievo chiamato a deporre nell'udienza di oggi è stato l'operaio Alvaro Borelli, uno dei capiservizio del pozzo di Camorra. Il Borelli partecipò, tre mesi dopo l'esplosione, ai lavori di ripristino della miniera, e poté quindi, nel controllare gli impianti e i tunnel palmo a palmo, rendersi meglio di altri conto dei danni provocati dal disastro.
Anche secondo la sua opinione, l'epicentro dello scoppio può essere localizzato, contrariamente alla diagnosi dei periti d'ufficio, nella falda est della galleria. Fu, infatti, proprio in questa falda est che egli poté constatare gli acciacchi più gravi. Nella falda ovest, invece, tutto appariva pressoché normale.
Egli vi trovò – ha detto – perfino una bottiglia d'olio ancora in posizione verticale, e assolutamente intatta.

L'azione del fuoco
Altri testimoni: Michele Ugolini, Renato Poccianti, Mazzino Ribechini, Eraldo Magi, Aldo Romagnoli, Francesco Jannitelli, Mario Sarcoli, Giuseppe Carmagnini.
Quest'ultimo, un armatore, ha raccontato di essersi calato nella miniera dopo l'esplosione, per controllare la situazione delle travi e dei puntelli che sorreggevano la volta e le pareti delle galleria.
Notò, in questa occasione, che alcune travi della falda ovest erano bruciate. L'azione del fuoco appariva però così profonda nelle fibre del legno che una sola cosa se ne poteva dedurre: che quelle travi erano bruciate non nel momento dello scoppio, ma dopo, in base a un processo di combustione più lento e più corrosivo.

L'udienza è stata rinviata a domani mattina.

MARIO CARTONI

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Per gentile concessione di Roberto Calabrò