GIORNALE DEL MATTINO

del 29 ottobre 1958

TESTIMONIANZE AL PROCESSO PER IL DISASTRO A RIBOLLA




ANCORA INCERTO IL PUNTO
OVE SI VERIFICO' LA TRAGICA ESPLOSIONE

Verona, 28.
Altri venti testimoni sono stati ascoltati questa mattina in una breve udienza di un paio d'ore al processo per il disastro minerario di Ribolla. Di questo passo si prevede che l'escussione di tutti i testi terminerà in tre o quattro udienze; quella di domani e quelle di lunedì e mercoledì della prossima settimana. Nella seconda settimana di novembre dovrebbe quindi, secondo le previsioni, iniziare la fase definitiva del dibattimento, quella che vedrà impegnati nella discussione sulle cause del disastro, i cinque periti di ufficio e gli otto consulenti di parte.
Assai arduo è, per ora, cercare di prevedere se finirà col prevalere la tesi di coloro che sostengono come lo scoppio fu dovuto a gas di distillazione nella falda ovest della sezione Camorra con epicentro nella galleria n. 31, oppure quella secondo la quale l'esplosione fu causata dal grisou.

Due ipotesi
Sono queste due ipotesi, proprio in contrapposto nel dibattito, attorno alle quali anche nell'udienza di oggi si sono aggirate le domande del presidente dottor Rodini, domande che cercano di portare il dibattito su di un terreno concreto, dalle astrazioni in cui lo hanno confinato le perizie sia di ufficio, sia di parte, con le loro disquisizioni di natura squisitamente congetturale.
In fondo il punto dolente di tutto il processo è costituito proprio dall'impossibilità di basare il giudizio su elementi di fatto.
Tutti i periti, a cominciare dai primi della commissione ministeriale, scesero nella miniera quando la situazione era ormai ripristinata, le gallerie in gran parte rifatte, i caduti riportati alla luce del giorno dai bassi e oscuri cunicoli in cui la violenza dell'ondata esplosiva li aveva raggiunti e uccisi.
Oggi hanno deposto l'ing. Dioscoride Vitale del corpo degli ingegneri di Grosseto, il signor Ludovico Salton, capo servizio della miniera, i sorveglianti Borghi, Bernini, Pomelli e Tozzoli e una dozzina di minatori, tutti discesi nella miniera subito dopo lo scoppio per l'opera di soccorso e di ripristino.

L'argilla
Essi hanno descritto le condizioni in cui venne trovata la galleria 31, nella faticosa avanzata delle squadre verso quel tappo di argilla, dietro il quale, secondo l'ipotesi formulata due anni più tardi, dai periti di accusa, l'incendio di lignite sviluppò il gas di distillazione e lo innescò per un'improvvisa inversione del circuito di ventilazione.
A mano a mano che si avanzava verso il tappo – hanno dichiarato i testi – gli effetti dell'esplosione diminuivano.
Dalla rimonta n. 3 in poi, la galleria appariva del tutto indenne; in piedi, sebbene bruciacchiate dall'incendio, le armature di legno; in perfette condizioni le centine di ferro. Venne persino ritrovata, intatta, una bottiglia di olio lubrificante.
I testi hanno narrato che invece nella falda opposta della miniera le armature di legno erano schiantate e le centine di ferro rotte e contorte.
Qui, nella falda est, si trovò l'unico fornello completamente disarmato; qui i tubi di ventilazione erano schiacciati, qui fu raccolta l'unica salma mutilata dallo scoppio – quella dell'elettricista Luschi – a cui l'onda esplosiva aveva strappato una gamba; qui giaceva l'unico corpo completamente denudato – quello del muratore Silvio Monti – e qui ancora fu ritrovato l'unico caduto con i panni bruciati: Emilio Rossi.
Quando il 10 maggio i primi periti della commissione di inchiesta scesero nella miniera,
la falda est era già stata liberata e chiusa. Perciò le odierne testimonianze che descrivono passo per passo il progredire delle squadre di soccorso nei cunicoli sotterranei devastati subito dopo l'esplosione, appaiono di particolare rilievo e daranno se non altro, alla prossima battaglia delle parti, nuovi elementi di contrasto e di discussione.

(Archivio Roberto Calabṛ)

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