Il paese
C'era una volta Ribolla...
A Ribolla il tracciato urbano non esiste affatto; case basse e scure, separate da sterrati nudi, in pendenza irregolare, qualche sporadico eucaliptus che sparge intorno un'ombra effimera: se ne piantarono molti un tempo, in Maremma, con la convinzione che servissero a prosciugare il terreno e a combattere le zanzare.
Di Ribolla si potrebbe fare la storia economica solo guardando al vario ed irregolare sviluppo del suo aspetto esterno.
Nell'immediato dopoguerra la produzione raggiunse le punte più alte, e Ribolla infatti era diventato uno dei centri più vivaci della Maremma: spettacoli cinematografici e teatrali, serate di ballo ( era di moda, allora, per i giovani "cittadini", cioè grossetani, andarsene a Ribolla, il sabato sera ), gite e, soprattutto, l'improvviso fenomeno della motorizzazione.Gli operai si compravano quasi tutti il motoscooter, se ne andavano al mare, che non è lontano, o nei paesi vicini.
C'era persino una brillante squadretta di calcio, che vinse il campionato, e che faceva "acquisti" di giocatori persino fuori provincia, a Livorno e Pisa.
La gente si sposava, matrimoni d'incrocio fra maremmane e siciliani, sardi, marchigiani, e sposandosi metteva su casa, cioè comprava i mobili.
Le case a Ribolla erano e sono quello che sono, vecchie case (ma forse non erano mai state nuove), case di fortuna, destinate a stare in piedi finché sta in piedi la miniera, nessuna costruzione apprezzabile, tranne la chiesa, che si è fatta negli ultimi anni.
Eppure i giovanotti mettevano su casa, facevano cambiali per comprarsi i mobili.
In una stanza o due vivevano quattro, cinque persone, e la casa era brutta e pericolante, ma non mancava quasi mai la radio e la cucina economica, e fuori c'era la motocicletta.
Roba comprata a rate, cambiali sopra cambiali, ma in quella gente, e soprattutto nelle donne, notavamo una decisa volontà di non andare a fondo, di resistere e di progredire.
E così, durante la lotta dei cinque mesi e durante l'offensiva padronale, pareva che Ribolla tutta fosse una cittadella assediata: le camionette della polizia stazionavano in mezzo alle case, le donne si facevano sull'uscio a guardarle, a parlare con gli agenti, a canzonarli, a stuzzicarli, a cercare di convincerli.
Non c'è differenza fra il villaggio e la miniera.Oggi a Ribolla c'è aria di decisa liquidazione.
L'ultima volta che ci siamo andati, nell'agosto del '55, abbiamo incontrato, proprio all'ingresso del villaggio, l'operaio Tacconi Otello; piccolo, massiccio, a torso nudo, spalava la terra sul ciglio della strada.
E' stato assunto dall'amministrazione provinciale come stradino, dopo diversi mesi di disoccupazione.Un tempo era stato uno dei migliori operai, e dei più combattivi; lo nominarono segretario della Commissione Interna; poi la "Montecatini" lo licenziò, per avere denunciato sulla stampa e in un pubblico comizio i pericoli della miniera e del tipo di coltivazione che vi si stava conducendo.
I fatti, tragicamente, gli dettero ragione, e per qualche mese il suo nome apparve su tutti i giornali, come quello del piccolo, tenace operaio maremmano che aveva sostenuto la verità contro il colosso industriale milanese.
Ma intanto Tacconi aveva perduto il lavoro.
Di recente, proprio in vista del processo per la sciagura di Ribolla, la "Montecatini" lo ha fatto chiamare a Milano, e gli ha promesso concreti "aiuti finanziari" purché dichiari che le sue affermazioni di allora furono determinate dall'ardore del "clima elettorale".
Una dichiarazione di compromesso, come si vede, ed in cambio Tacconi avrebbe avuto la tranquillità e la sicurezza per molto tempo, per sé e per la sua famiglia.
Ma Tacconi non ha firmato e non firmerà mai.
Liberamente tratto dal libro: Bianciardi-Cassola -I minatori della Maremma- edito nel 1956
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