La sciagura di Ribolla
(Seconda parte)
I primi morti uscirono dal Camorra verso le cinque del pomeriggio; l'opera di soccorso, o meglio, di raccolta delle vittime, continuò per tutta la notte. Il giorno dopo si era accertata la morte di altri operai, ma due salme restavano non identificate.
All'ospedale di Massa Marittima, oltre all'ing. Baseggio, furono ricoverati alcuni operai feriti; e feriti meno gravi, o intossicati, poterono curarsi nelle loro case.
Lo scarto notevole tra il numero dei morti e quello dei feriti era prevedibile: le esplosioni in miniera uccidono, l'esperienza insegnava anche questo.
Il lavoro di recupero delle salme si faceva via via più difficile per le frane numerose e per il pericolo incombente di possibili nuove esplosioni, e sempre più pietose erano le condizioni dei cadaveri, spaventosamente enfiati, bruciati dallo scoppio, qualcuno già decomposto.>>
<<...due cadaveri attendevano ancora di essere identificati e composti. Si precisava il numero delle vittime: 42.
Tre erano ancora sepolti da una frana. La quarantatreesima vittima fu uno degli intossicati: quando già pareva rimesso in salute, all'improvviso gli amici lo videro accasciarsi al suolo, ed era morto.
Tutte le salme, man mano che venivano estratte dal fondo della miniera, venivano portate in un'autorimessa, dove il medico e alcuni infermieri provvedevano a comporle nelle bare, alla presenza del Procuratore della Repubblica, dott. Milanese, che sovrintendeva all'identificazione e ai primi accertamenti di carattere giudiziario.
Le bare erano poi allineate nella sala del cinema di Ribolla, trasformata in camera ardente: sopra ogni bara c'era l'elmetto di materia plastica che i minatori usano nei lavori del sottosuolo; in fondo alla sala, proprio sotto lo schermo, molte bandiere rosse fiancheggiavano una specie di altare: all'ingresso del cinema prestavano servizio di ordine squadre di operai, che avevano sostituito gli agenti di pubblica sicurezza.>>
Da Giacomelli - Giulianelli: Il cuore "nero" della Maremma.
MONTECATINI
Società Generale per l'Industria Mineraria e Chimica
GRUPPO MINIERE MAREMMA
Comunicato n. 3
La Società "Montecatini" rende noto che l'azione di soccorso iniziata alla miniera di Ribolla immediatamente dopo l'esplosione verificatasi ieri, 4 c.m., continua tuttora nel modo più intenso.
Sono presenti sul posto, dal primo momento, numerose squadre di soccorso nonché tecnici e sanitari con tutte le attrezzature delle Miniere di Maremma della Società.
Finora i morti accertati, compreso un ferito deceduto all'Ospedale (gli altri feriti fortunatamente non presentano carattere di gravità), sono 18 ed i mancanti, sulla sorte dei quali purtroppo non sono ormai consentite le speranze, ammontano a 24.
Ogni ricerca di indagine immaginabile e possibile sulla origine della esplosione è già in corso e sarà proseguita e condotta a termine con ogni ampiezza e con ogni precisione.
Tutti i componenti la grande famiglia della Montecatini, partecipano con profonda commozione e con il più vivo senso di umana solidarietà al dolore delle famiglie dei caduti sul lavoro.
Massa Marittima, 5 Maggio 1954.
Luciano Bianciardi, Ira e lacrime a Ribolla, in "Il Contemporaneo", Roma, I,8 (15 maggio 1954), p.7.
Da La nascita dei "minatori della Maremma", Il carteggio Bianciardi - Cassola - Laterza e altri scritti. A cura di Velio Abati. Fondazione Luciano Bianciardi, Quaderni 5, Giunti editori, 1998.
Sono arrivato a Ribolla la mattina del 4 maggio, alle undici. Due ore e mezza dopo la esplosione questo triste villaggio di minatori stenta ancora a credere.
Per le strade si aggira una folla stordita, che si muove incerta qua e là, muta, senza saper che fare, dove andare. Non è facile capire quel che realmente è successo. Una piccola folla di donne si accalca dinanzi al cancello dell'infermeria, ne esce un'auto con a bordo un uomo svenuto, la testa reclinata sui cuscini: ma non è ferito. Faceva parte delle prime squadre di soccorso, quelle che son calate giù all'improvviso, senza mezzi di protezione, e dopo mezz'ora son tornati fuori così, bianchi come cenci.
Carabinieri, poliziotti, guardie giurate cercano di trattenere la gente, che man mano cresce e preme: è stata la prima cura della direzione, quella dell'ordine pubblico. L'allarme è venuto solo dopo le undici, e fino ad allora negli altri pozzi si è lavorato, come tutti i giorni.
E' quasi l'una quando arrivano i respiratori dei Vigili del Fuoco, e si organizza il soccorso.
Dalla lampisteria un altoparlante chiama a raccolta i volontari, e la risposta è immediata; anche dalle altre miniere vengono giù con gli autocarri.
Sfila, inquadrato, un gruppo di operai di Niccioleta: scenderanno fra poco, mi dice in fretta uno di loro.
Ai pozzi si giunge per un viottolo tortuoso e pieno di fango, che a tratti traversa un campo di grano, e poi costeggia i binari dei decauville, i mucchi di detriti di miniera, dominati dalle alte impalcature scure degli ascensori.
Questo è il "Raffo", ad un chilometro in linea d'aria si vede il "Camorra". Qui si lavora febbrilmente: vibrano le corde d'acciaio, ronzando, calano giù legname da armatura, tubi di areazione, ed uomini. La gente sta a guardare in silenzio, un gruppo di donne, in piedi su di un greppo, attende.
Un maresciallo dei carabinieri vuol far sgombrare, alza la voce, ma nessuno lo ascolta. Lì accanto si vede un gran cartello giallo, ammonisce che è vietato scendere in miniera senza i pantaloni lunghi e la maglietta "almeno con le mezze maniche".
Un giovane ingegnere del Distretto Minerario è venuto su da Grosseto: gli hanno dato una tuta blu, le scarpe grosse da minatore, l'elmetto di materia plastica, tutta roba nuova, con ancora le pieghe della stiratura sui pantaloni.
Così, e con gli occhiali, è goffo e impacciato.
C'è anche il medico della miniera, con un largo mantello impermeabile, di tela cerata, e gli infermieri accanto all'ambulanza, pronta, con lo sportello aperto e la barella lì per terra.
Quando suona il campanello dell'arganista il silenzio si fa ancora più grave, perché vuol dire che arriva la gabbia. La gabbia, affiorando, sferraglia contro le guide di acciaio e si blocca: ne scende un ragazzo, pallido in volto pur sotto la maschera di polvere nera, qualcuno gli si fa incontro, vuole sapere cosa succede laggiù, ma la guardia della Montecatini lo afferra sotto il braccio e lo trascina, barcollante, dentro la cabina dell'arganista, e grida: "Via, Via!".
Ma la voce si è già sparsa, arrivano tre corpi. Gli infermieri si avvicinano alla bocca del pozzo brandendo tre coperte di tipo militare, il medico dà ordini a bassa voce.
Appena la gabbia affiora di nuovo si fanno avanti, coprono qualcosa, è un cadavere, e lo trascinano come un sacco sulla barella: Riesco a vedere appena uno scarpone, uno solo.
Dicono che al "Raffo" ne han tirati fuori altri quattro.
Quando torno in paese si è scatenata l'onda del terrore, e le donne son scese in strada, così come si trovavano, con quattro stracci addosso: urlano davanti alla saracinesca abbassata del garage, dove trasportano i cadaveri, man mano che li trovano.
Due poliziotti, a tratti, alzano quanto basta perché entri un uomo, una barella: Un vecchio cammina avanti e indietro gridando solo una bestemmia, sempre quella.
Il lutto sul viso di tutti: amici, incontrandosi, appena si salutano con un cenno del capo.
E' arrivato il Procuratore della Repubblica, con il Giudice Istruttore. Gli operai più anziani gli si fanno incontro per raccontare: "L'avevamo detto tante volte, che doveva succedere, ed è successo":
Un vecchio parla di tempi passati: "Ci s'aveva i nostri lavori belli comodi, freschi. Si stava tanto bene". Vuol dire gli anni della guerra.
Cominciano ad arrivare i giornalisti, con le macchine fotografiche: erano nella zona per "Italic Sky", le manovre di sbarco della NATO, ed hanno i rotolini già per metà impressionati coi reattori, i generali: chissà se qui in paese troveranno altra pellicola?
A tarda sera arrivano le autorità, visibilmente preoccupate per la grossa grana. Arriva anche i ministro Vigorelli: entra in direzione, fa dichiarazioni di cordoglio ai giornalisti e conclude promettendo "contribuzioni straordinarie e immediate varianti dalle 60 alle 100 mila lire. Naturalmente ciò non incide per niente sul trattamento previdenziale dell'INAIL che resta invariato".
Dirige i lavori, giù ai pozzi, l'ing. Carli, con il caposervizio Marcon. Non si è ancora visto il direttore della miniera: dicono che è ammalato, che è a Milano, che è a Roma. Non si è visto il dott. Riccardi, capo dei servizi assistenziali.
Un anno fa, al "Camorra", arrestarono 45 operai che si erano calati giù e non volevano uscire, per protesta contro un'ondata di licenziamenti. Riccardi, allora, al "Camorra", diresse la polizia: volle che dal pozzo gli operai uscissero ammanettati, "per dare l'esempio".
A notte comincia a piovere, e l'alba si leva più livida e grigia su Ribolla. Giù ai pozzi han lavorato tutta la notte ed il numero dei cadaveri, nel garage, va crescendo ora per ora. Dopo l'identificazione li incassano e li portano nel cinema.
Son salito in galleria con Antonio Palandri, segretario della Federazione Minatori. Palandri è stato un minatore, e qui lo conoscono tutti.
Per le scale incontriamo una donna, quando lo vede si mette a piangere e lo abbraccia: "Le nostre lotte, Tonino, le nostre lotte".
Di quassù si vede tutta la sala: sotto lo schermo han montato un altarino, con due candele e un crocifisso, ai lati tutte bandiere rosse. Sopra ogni bara c'è un mazzo di fiori, e l'elmetto del minatore ucciso: si direbbe un manipolo di soldati, e forse è davvero così.
Il dolore è più composto, qua dentro. Una sposa meridionale sfoga la sua pena con un lungo lamento ritmico, nel quale ricorda le virtù del suo uomo e gli chiede perdono di qualcosa.
Quanti modi di piangere a Ribolla!
Una vecchia maremmana sta immobile, con gli occhi arrossati fissi nel vuoto. E sopra, accanto a noi, si addensa tutta la gente di Ravi, di Caldana, di Tatti, di Sassofortino, di Roccatederighi, di Roccastrada, di Montemassi, questi scuri paesi aggrappati alla vetta dei colli circostanti.
Di là ogni mattina scendevano per il lavoro questi che son morti. Alla porta fan servizio d'ordine i minatori, la polizia non c'è più.
Un telegramma del Sindaco ha invitato i rappresentanti dei partiti politici, delle organizzazioni sindacali, dei vari enti, per costituire un comitato che provveda alle onoranze. Infatti, a sera, arrivano quattro ragazzi:"Diccì, dicono, acli, cisl, pri". Il ragazzo del PRI, un giovane avvocato, spiega che i "saragattiani" non sono venuti perché forse, a quell'ora, in federazione non c'era nessuno. Ha visto l'avviso del telegramma infilato sotto la porta.
Alle onoranze non parteciperà la Montecatini. La società offre "assegni assistenziali" di 500 mila lire e di un milione, "secondo i relativi carichi familiari". Comunica ai giornalisti che le spese dei funerali saranno a suo carico, "secondo una vecchia tradizione". Ma il governo ha già comunicato che sarà lo Stato a pagare queste spese.
Intanto si cominciano a vedere i manifesti listati a lutto; su quello dei repubblicani si legge: "Ancora una volta, nel crudo, necessario, eterno dialogo dell'Uomo con la Materia, gli oscuri avamposti della insonne fatica son caduti nel puro silenzio dei martiri".
La mattina dei funerali è comparso il sole. La folla delle bandiere, le auto, i fiori, si vanno ammassando per le esequie. Riconosco la voce dell'altoparlante che dirige ogni spostamento. E' Ivo Tocco. Dice, a un certo punto:"I carabinieri tengano sgombro il marciapiede, Si presenti subito un commissario di Pubblica Sicurezza". Ivo Tocco è un giovane funzionario comunista.
Fa caldo, su questa collinetta di detriti della miniera: qua e là il terreno fuma, perché le scorie di minerale, al contatto con l'aria, si incendiano.
Alle spalle, là dietro, si vede, lontanissimo, il pozzo "Camorra", davanti c'è Montemassi.
Le parole accorate di Di Vittorio calano sulla gran folla, e mi pare giusto che sia un contadino pugliese a parlare ai minatori maremmani. Non vogliono far parlare Viglianesi.
Qua, per i minatori, l'UIL è il sindacato della Montecatini, e la Montecatini non è ai funerali: Nessuno, nemmeno le guardie giurate, han voluto portare le sue corone. La direzione è presidiata dai carabinieri.
Poi la cerimonia si scioglie: le bare partono con i furgoni, seguiti dalle auto piene di donne vestite di nero.
La gente se ne va, in una grande confusione di grida, clakson, motori. Le auto nere targate Roma e Milano, entrano nei cancelli della direzione: ne scendono industriali, prelati, ministri, sindacalisti liberi.
Si torna alla normalità: partono i carabinieri ed arriva la "celere".
Mi trovo solo a girare per le strade polverose, e non riesco a credere che sia proprio tutto finito, e che non ci sia niente da fare.
Raccolta informazioni, sintesi e aggiunte al testo: Laura Maggi.