“Le scienze”, numero 369 – maggio 1999 – pp. 20 – 21.

Un fossile scoperto quarant'anni fa nella miniera di lignite di Baccinello torna a far parlare di se'.

La scimmia bipede della Toscana

Oggi li conosciamo come Oreopithecus bambolii: erano scimmie antropoidi (come gibboni, oranghi, scimpanzé e gorilla) piccole e molto particolari.
Dieci milioni di anni fa, prima di estinguersi, abitavano una grande isola formata dalla Sardegna e da una parte di quella che oggi è la Maremma grossetana.
Fin da quando, nel 1872, ne fu scoperto un fossile nella miniera di lignite di Monte Bamboli, nel Grossetano, i paleontologi discutono, e talvolta si accapigliano, su che tipo di scimmia fosse questo oreopiteco.
Nonostante le molte stranezze del suo scheletro, nei decenni scorsi era considerato una scimmia del tipo dei cercopitechi, alta come un bambino di sette anni e del peso di una trentina di chili, che viveva sugli alberi e camminava a quattro zampe.
Il primo a rimettere in discussione questa tesi fu Johannes Hurzeler, un professore svizzero che si appassionò all'enigma tanto da stabilirsi, nel 1958, vicino alla miniera di lignite di Baccinello, in Maremma.
Nell'agosto di quell'anno, sul soffitto di una galleria, apparve lo scheletro di un oreopiteco. Hurzeler se ne tornò a Basilea con il suo prezioso fossile, lo studiò e scoprì che aveva le caratteristiche di schiena, gambe e piedi tipiche dei bipedi.
Purtroppo Hurzeler si fece un po' prendere la mano e arrivò addirittura a sostenere che l'oreopiteco era un antenato dell'uomo, esponendosi al discredito di tutta la comunità paleontologica.
Così anche le sue importanti scoperte furono sottovalutate.
Fortunatamente, però, il fossile di Baccinello non fu dimenticato e tornò a Firenze, dove ha continuato a essere studiato da generazioni di paleontologi.

Recentemente Salvador Moyà – Solà e Meike Kohler dell'Università di Barcellona hanno pubblicato uno studio che conferma le scoperte di Hurzeler: l'oreopiteco camminava come noi. Ma non basta.
Lorenzo Rook, paleontologo all'Università di Firenze, si è chiesto: “Se l'oreopiteco camminava su due gambe, che cosa poteva fare con le mani?” e si è messo a studiare i resti degli arti superiori. Intanto è subito parso evidente che l'oreopiteco non abitava affatto sugli alberi: le sue mani erano troppo corte per offrire una presa sicura sui rami e ricordano, nelle proporzioni, più le nostre mani che quelle delle scimmie arboricole.
Osservando il pollice dell'oreopiteco, Rook ha poi scoperto che è l'unico animale conosciuto (a parte l'uomo e i suoi diretti antenati) dotato di pollice opponibile.
Questa capacità, confermata dalla presenza dell'attaccatura del muscolo che consente il movimento della falange del pollice, è ciò che permette di avere una presa di precisione, ovvero di usare le mani per costruire arnesi.
Poiché le principali caratteristiche che hanno trasformato le scimmie africane in australopiteci e poi in uomini sono stazione eretta, mani con pollice opponibile e aumento della capacità cranica, l'oreopiteco assume un'importanza straordinaria nella comprensione dell'evoluzione umana, anche se non è un diretto antenato dell'uomo.
Una scimmia antropomorfa che già camminava su due gambe e manipolava con precisione gli oggetti era destinata a diventare un essere intelligente? “Probabilmente no” smorza gli entusiasmi Rook. “Lo studio dell'oreopiteco fa anzi capire che, delle tre caratteristiche che differenziano gli antenati dell'uomo dalle altre scimmie, la più importante è proprio l'aumento della capacità cranica, con tutti i progressi che si porta dietro, dal linguaggio alla capacità di pianificazione, all'astrazione. E da questo punto di vista la scimmia toscana non era molto ben messa: nel milione di anni descritto dai fossili disponibili, il suo cervello non si era ingrandito, rimanendo delle dimensioni di quello dell'attuale gibbone”.

Ma allora a che gli serviva camminare a due zampe? “Probabilmente, vivendo in un ambiente privo di pericoli, l'oreopiteco è sceso dagli alberi perché vivere in terra è meno faticoso. È un po' lo stesso fenomeno che induce certe specie di uccelli, come il kiwi o il dodo, che vivevano in ambienti privi di predatori, a smettere di volare. Forse ha poi assunto la stazione eretta per trasportare il cibo o i piccoli e le mani efficienti gli servivano per preparare le piante di cui si nutriva. L'ambiente privo di stimoli dell'isola gli ha anche impedito di compiere progressi dal punto di vista intellettivo e 7 milioni di anni fa, quando la parte <toscana> dell'isola si è congiunta alla penisola italiana, l'oreopiteco è stato sopraffatto sia dai predatori sia da altri erbivori che si nutrivano del suo stesso cibo”.
Insomma, 10 milioni di anni fa la natura aveva già sperimentato un paio delle soluzioni che hanno favorito il successo evolutivo della nostra specie.
Ma la scimmia toscana ha assunto quelle caratteristiche per ragioni opposte a quelle per cui gli antenati dell'uomo le hanno assunte in Africa.

ALESSANDRO SARAGOSA


(Autorizzazione alla pubblicazione concessa dal Signor Marco Cattaneo, Vice Direttore de “Le Scienze”, in data lunedì 5 marzo 2001
)



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