L’Oreopithecus

Tracce di un nostro lontano parente anche nel sottosuolo di Ribolla.

Oreopithecus: com'era. (Contributo di Walter Scapigliati) Oreopithecus: altri disegni (Contributo di Walter Scapigliati) Fossile di oreopithecus (Contributo di Walter Scapigliati) La mano dell'Oreopithecus Bambolii di Baccinello (Contributo di Walter Scapigliati) Oreopithecus: brachiazione. (Contributo di Walter Scapigliati)

LE SCIENZE numero 369 - maggio 1999

23 marzo 1999

Secondo un recente studio di autorevoli paleontologi, una scimmia antropomorfa vissuta ben nove milioni di anni fa sarebbe uno degli antenati dell'uomo.

L 'annosa questione sull'origine dell'umanità trova oggi una nuova e interessante risposta: uno degli antenati dell'uomo potrebbe essere Oreopithecus Bambolii, la scimmia antropomorfa vissuta nove milioni di anni fa.
Ad affermare ciò è il recente studio condotto dagli autorevoli paleontologi del Museo di Geologia e Paleontologia di Firenze che hanno analizzato i fossili del primate.
I ricercatori Rook, Moyá-Solá e Kohler, del Museo di Geologia e Paleontologia di Firenze, che hanno analizzato i fossili, hanno individuato alcune analogie tra le ossa della mano della scimmia, decisamente piccole rispetto al peso corporeo, e quelle dei primi ominidi.
In particolare, la presenza del muscolo che consente di flettere il pollice, muscolo specifico dell'uomo, a far ipotizzare che Oreopithecus bambolii possedesse, come i primi ominidi, abilità manipolative.
Inoltre, lo scheletro del primate recuperato nel 1958 in una miniera di lignite nella Maremma toscana, mostra la presenza di arti superiori molto sviluppati e di mani grandi e robuste per un probabile adattamento alla brachiazione, ovvero la capacità di utilizzare gli arti superiori per spostarsi nella vegetazione.
Nel complesso, la massa corporea è simile a quella dell'attuale gibbone e porta a dedurre che il primate sia un antenato dell'uomo moderno.


I l primo esemplare del primate noto in letteratura scientifica con il nome di Oreopithecus bambolii Gervais fu scoperto nella seconda metà del secolo scorso nel giacimento di lignite di Montebamboli (Massa M.ma).
Il paleontologo Paul Gervais, in visita in Italia, ebbe il permesso di portare gli interessantissimi campioni a Parigi, dove potette studiarli approfonditamente.
Il 6 maggio 1872 egli presentò la prima, dettagliata descrizione di questa specie alla Accademia delle Scienze di Parigi.
Da allora numerosi altri resti fossili di Oreopithecus bambolii sono stati rinvenuti in altre località della Maremma (Acquanera, Baccinello, Casteani, Monte Bamboli, Montemassi e Ribolla) e, recentemente, nei depositi fluviali di Fiume Santo, in Sardegna.



Non è azzardato affermare che l’Oreopiteco è oggi uno dei primati fossili meglio conosciuti, rappresentato da numerosi resti scheletrici incompleti e da decine di crani e mandibole relativamente completi.
Di tutte le località toscane sopra menzionate, Baccinello risulta la maggiormente conosciuta e studiata, sia sotto il profilo paleontologico che geologico.
L’impegno e la determinazione personale del Prof. Johannes Hürzeler (Museo di Storia Naturale di Basilea) portò, alla fine degli anni ’50, al recupero di un consistente campione di resti fossili del tardo Miocene attribuibili a questa specie.

Il ritrovamento certamente più importante e di ampio rilievo internazionale è avvenuto nel 1958, anno in cui la lignite di Baccinello ha restituito uno scheletro quasi completo di un giovane maschio di Oreopiteco, primate vissuto nell’area circa 8 milioni di anni fa.

Da allora sono stati rinvenuti in questa zona altri interessanti resti fossili, compresi quelli recentemente descritti dal Dr Lorenzo Rook (Dipartimento di Paleontologia, Università di Firenze), provenienti dalla valle del torrente Trasubbie.

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