LUMINI NEL BUIO -Ribolla: anni '30 e dintorni-

 
 

UN “APPARTAMENTO” ALLE CENTURIE

 

 

 Lo sa il sole cosa gli capitava di vedere quando, battendo agli usci delle case delle Centurie, allungava i suoi raggi nelle singole abitazioni.

           Apertasi la strada attraverso le sferraglianti tende fatte di centinaia di tappi a corona schiacciati intorno a sottili cordicelle di canapa, trovava subito le cucine, suppergiù tutte uguali. Vedeva il pavimento di mattoni, il focolare in un angolo di fronte all’ingresso, la “cucina economica” di quelle a legna (meglio, a troppoli) con gli anelli di ghisa e il tubo che s’infilava nella cappa del camino. Di fianco all’uscio, l’acquaio in pietra sul cui ripiano poggiavano i secchi di rame per l’acqua, e sopra l’acquaio, appesa al muro, la piattaia. Faceva appena in tempo ad accorgersi della presenza di una vetrina, di un tavolo, e di qualche sedia, che la sua attenzione era attratta da un lucido nastro elicoidale che pendeva da una trave del soffitto. Si trattava della micidiale carta moschicida sulla quale gli insetti, sedotti da una sostanza maleodorante e appiccicosa, andavano ad incollarsi senza scampo. In altre abitazioni, alcuni raggi scoprivano invece, al posto del nastro, un recipiente di vetro sagomato a sfera, con la parte inferiore curvata all’interno a formare un canaletto circolare pieno d’acqua, e appoggiato sul tavolo per mezzo di tre corte zampette. Questo marchingegno, chiamato “moschiera”, aveva bisogno, per funzionare, di un pizzico di zucchero che facesse da esca sotto la campana. Le mosche, intente a farne razzia, erano indotte alla fuga non appena qualcuno o qualcosa si muoveva lì intorno. Decollando in volo verticale, le poverette finivano all’interno del recipiente dove, non trovando uscita, dopo una resistenza disperata quanto inutile, andavano ad affogare nell’acqua. Non restava che cambiarla, quest’acqua, il più spesso possibile, gettando con essa le innumerevoli vittime.

Di notte, un raggio di luna curioso avrebbe potuto vedere, in un frenetico brulichio, legioni di scarafaggi del tipo di quelli che la gente di Ribolla, forse perché facessero ancora più schifo, chiamava “bachere”.

Nelle camerine di mezzo il sole era inerme. I suoi raggi, per tentar di vedere qualcosa, prima di avventurarvisi avrebbero dovuto fare una scappata in “lampisteria”. Ma anche con la lampada c’era ben poco da scoprire, in quelle microscopiche stanzette. Non potevano contenere più di un lettino a una piazza e un comodino.

Le stanze da letto mostravano compiaciute l’unica finestra in dotazione alla casa. Anch’esse, una simile all’altra. Due comodini, l’armadio, il canterano e il letto matrimoniale. Quest’ultimo, ogni tre settimane, esibiva, durante il giorno, un minatore addormentato, intento a riposarsi dopo aver lavorato per otto ore in galleria nella gita di notte. La sveglia, sul canterano, era quasi sempre sistemata dentro una campana di vetro. Forse per attutirne il non proprio tenue ticchettio.

Se quelle abitazioni, per la disposizione delle stanze, e per il tipo e il numero dei mobili che le arredavano, non erano molto diverse l’una dall’altra, si differenziavano tuttavia per gli ammennicoli che si vedevano in giro, posati su quei mobili o appesi alle pareti. Santa Barbara non mancava quasi mai, in pose e sembianze sempre diverse. Così come non mancavano quadretti alle pareti (frequente il cacciatore con la pipa e il cane in posizione di ferma), e fotografie di prime comunioni, cresime, matrimoni.

Ne trovavano tante, di cose, quei raggi di sole. Cose semplici, umili, di pochissimo valore e di tanta importanza. Si è saputo di due di questi raggi, i quali, forse dotati di particolare spirito d’osservazione, illuminarono anche qualcosa d’insolito. In una delle abitazioni, uno di essi notò, appoggiata sul canterano, la fotografia di una bambina di pochi mesi ritratta da morta prima che venisse chiusa la piccola bara nella quale giaceva, avvolta in una nuvola di tulle, con il solo viso scoperto che, seppur cereo, era atteggiato ad imitare un sonno sereno.

Nella camera di un altro “appartamento”, il secondo raggio si accorse che da una parete pendeva, incorniciato con listelli di legno, il ritratto di un bambino antico. Il suo sguardo fissava stupefatto il grande letto dove gli era capitato di morire, tempo prima, decrepito e di malumore. 

 

Vilmo Radi

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