LUMINI NEL BUIO Ribolla: anni '30 e dintorni

 
 

MONDO PICCOLO

 


Alla fine degli anni '20 pensavo che Ribolla cominciasse al deposito delle 
locomotive e finisse sotto la grande ciminiera. Quando la mi' mamma mi portava alle Casenove dove stavano i mi' nonni mi sembrava di andare in capo al mondo. Fui contentissimo quando nel '32 si trasferirono alle Centurie. Ormai fino a lì c'arrivavo anche da solo.

 E' difficile, confrontando quei tempi con gli attuali, rendersi conto di come le dimensioni dello spazio fossero allora intese in maniera così diversa da come vengono percepite oggi da tutti, anche dai più piccoli. Per noi – parlo di me, di Enzo Niccolaini, Venzo Conti, Lido Lucchesi, i confini estremi del pianeta Terra erano "il Gabellino" e lo "sbocco di Meleta" da una parte, mentre dall'altra immaginavamo che dopo "il Braccagni" 
non ci fosse che Grosseto, e poi più niente. Tutti conoscevano "il Braccagni", perché era il posto in cui si trovava la farmacia più vicina a Ribolla. 


Ribolla 1935

Quando nei '30 qualcuno si beccava qualche lieve malanno, poteva 
essere curato con quello che c'era nell'ambulatorio di Giulio Sansoni, o con qualche impacco bollente di farina di semi di lino, oppure, molto spesso, con il "Chinino di Stato", che era uno specifico per la malaria ma faceva bene anche per le nevralgie, l'emicrania, l'influenza e quant'altro. Oltre che averlo gratuitamente da Giulio, il chinino si poteva comprare a prezzo politico nelle rivendite di generi di monopolio, ossia dal Sabatini. Quanto a Giulio, non si limitava certo a somministrare il chinino. Aveva sempre un gran daffare, anche con noi bimbetti. Non passava giorno senza che dovesse fasciare qualche testa, medicare gomiti o ginocchi scorticati, o magari spennellare con la tintura di iodio una gola arrossata.
Se si trattava invece di qualcosa di meno banale, il dottor Simoni, medico della 
Montecatini per Gavorrano e Ribolla, prescriveva i farmaci per avere i quali era giocoforza mettersi in viaggio. A noi bambini, pertanto, quel posto evocava lo spettro di serie malattie. "Sai, si diceva, coso è malato. 'l zu' babbo è dovuto andà al Braccagni a piglià le medicine". Se non bastavano le cure delle nostre mamme, e nemmeno quelle di Giulio, che sarebbe stato di noi?
Braccagni era un nome che ricorreva spesso anche per una simpatica storiella che almeno i vecchi dovrebbero ancora ricordare. Un viandante, magari un ribollino che aveva intrapreso a piedi il viaggio per andare in farmacia, chiedeva, sull'Aurelia, un passaggio ad un barrocciaio il cui ronzino stentatamente lo stava sorpassando: "Barrocciaio, mi portate?" E il barrocciaio niente, si limitava a fare "iihh!" per spronare, si fa per dire, il cavallo. Dopo la terza, inutile richiesta, il viandante si faceva finalmente furbo e buttava giù la carta vincente. "Al Braccagni pago bé!" Immediatamente il barrocciaio dava di mano alla martinicca bloccando lo stronfiante destriero in mezzo alla strada: "Allora lééé!!"


Vilmo Radi

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