UN CUNICOLO LUNGO TRENTA METRI
PER ROMPERE L'ASSEDIO DELLA POLIZIA.



Ribolla, le vicende della miniera che nell'immediato dopo guerra occupava migliaia di lavoratori, rappresentano sicuramente un pezzo importante della storia del sindacato, ma non solo del sindacato, nella provincia di Grosseto.
E' per questo motivo che ritorniamo, e ritorneremo ancora, sulle vicende sindacali di Ribolla ed in primo luogo di quella miniera.
Abbiamo parlato con uno dei protagonisti di quelle lotte: Duilio Betti, minatore, segretario del sindacato minatori a Ribolla negli anni terribili del 1950, 1951, 1952 e successivamente nella miniera di Gavorrano, poi segretario del sindacato minatori provinciale ed infine Segretario Generale della CGIL di Grosseto dal 1960 al 1968.
Finito il periodo bellico, racconta Betti, nel quale il mercato era stato favorevole e la Montecatini aveva realizzato sostanziosi profitti, ebbe inizio l'offensiva della Montecatini per la smobilitazione della miniera.
La coltivazione dei giacimenti avveniva con metodi di rapina. La ricerca mineraria e la manutenzione - che sono linfa vitale della miniera - subirono un calo vertiginoso. Si passò dal sistema di coltivazione chiamato "a ripiena" a quello chiamato "a franamento".
Il cambiamento consisteva in questo: mentre nel sistema detto "a ripiena" i vuoti lasciati dall'estrazione del minerale venivano riempiti con materiale portato dall'esterno, generalmente terra di campo, con il sistema  detto "a franamento" tali vuoti venivano riempiti facendo franare il tetto della galleria mediante esplosione di mine.
Questo nuovo metodo di lavoro diminuiva sicuramente i costi di produzione, aumentando però oltre ogni limite i pericoli sempre presenti nella miniera di Ribolla. In questa miniera il pericolo più terribile per i minatori era il grisou: una miscela di vari idrocarburi e ossigeno che mescolandosi con l'aria diventa infiammabile ed esplosiva.
"Nel 1946 a Ribolla il grisou aveva già fatto alcune vittime e poiché il sistema a franamento lasciava delle sacche nelle quali si accumulava il gas, aumentava, per effetto dei nuovi metodi di lavoro, il rischio di una deflagrazione dalle conseguenze catastrofiche per la miniera e per gli operai che vi si fossero trovati dentro".
Anche contro questa eventualità, ricorda Betti, si concentrò la lotta guidata dal Sindacato. Si richiedevano infatti mezzi scientifici adeguati in grado di segnalare il pericolo per tempo, l'intensificazione dei controlli insieme a opere di manutenzione più appropriate.
E' nota la vicenda di Otello Tacconi, operaio della miniera e Segretario della Commissione Interna, licenziato per aver denunciato pubblicamente l'inconsistenza dei mezzi di prevenzione adottati dalla direzione aziendale.
"Per individuare l'esistenza di grisou la Montecatini dava in dotazione alla squadra di minatori un maialino d'india il quale avrebbe segnalato l'esistenza del micidiale gas semplicemente tirando le cuoia".
Tutto ciò contribuiva a confermare ai lavoratori ed al sindacato che l'intenzione della Montecatini era quella di giungere in breve tempo a chiudere la miniera.
Ed è proprio contro questa intenzione che i lavoratori organizzati della CGIL lottarono a lungo.
"Lotta, prosegue Betti, che ha avuto momenti difficili in quanto ci trovavamo dinanzi ad un'azione capeggiata e diretta dalla Montecatini, ma sorretta dalle forze politiche al Governo, dagli organi tecnici dello Stato come il Distretto Minerario, dalla maggior parte della stampa locale.
Rammento che il quotidiano Il giornale del mattino veniva distribuito gratuitamente nelle miniere a centinaia di copie. Nel 1948 ci fu la scissione sindacale ed anche se non ebbe molto seguito tra i minatori, le organizzazioni CISL e UIL appena formate indirizzarono gran parte del loro lavoro nella polemica contro la CGIL, ostacolando anche così la lotta dei minatori.
Furono molti gli scioperi, le iniziative politiche, le manifestazioni a cui prendeva parte la stragrande maggioranza dei lavoratori. La polizia interveniva brutalmente. Ricordo un episodio drammatico, ma per certi aspetti anche grottesco, accaduto nel 1953, quando la polizia, armata come in pieno assetto di guerra, andò ad arrestare i minatori giù nei pozzi, dentro la miniera che occupavano da alcuni giorni per opporsi ai licenziamenti.
Dinanzi all'ennesimo atto antisindacale della Montecatini, si era decisa l'occupazione della miniera. Le autorità statali in accordo con la direzione ritennero che per stroncare quell'occupazione sarebbe bastato stringere di assedio i minatori in fondo alla miniera, prendendoli per fame.
Centinaia di poliziotti affluirono a Ribolla. Tutte le vie di accesso ai pozzi furono bloccate. A nessuno era consentito di avvicinarsi.
Così per quattro giorni, 24 ore su 24.
Il quarto giorno le autorità, convinte che i minatori fossero ormai esausti dalla scarsità di cibo e di altri generi di conforto, chiesero al sindacato di poter inviare un medico all'interno della miniera per verificare lo stato fisico degli occupanti. La richiesta fu accolta, ma il medico, accompagnato da un dirigente della società, dovette constatare con sorpresa che i minatori erano ben organizzati, in buona salute e soprattutto dotati a sufficienza di cibo e di acqua tanto da poter resistere ancora a lungo.
Lo smacco subito dalle forze di polizia e dalla Direzione aziendale era grande e la reazione fu stizzosa ed arrogante allo stesso tempo. Ingenti forze di polizia furono fatte affluire dentro i pozzi ed i minatori che da quattro giorni occupavano la miniera per rivendicare condizioni di lavoro più civili e sicure, furono arrestati e trasferiti nelle carceri di Grosseto.
Sicuramente quello che aveva determinato quella reazione tanto sproporzionata delle autorità, scaturiva dal fatto che l'episodio dimostrava la perfetta conoscenza della miniera da parte dei minatori, sicuramente superiore a quella dei dirigenti e proprio questa conoscenza aveva consentito ai minatori di annullare in gran parte gli effetti dell'assedio.
Infatti, passando per un cunicolo, conosciuto dai più anziani, e usando una vecchia galleria abbandonata, veniva raggiunto un punto della miniera dove, attraverso un piccolo foro verticale (detto fornello) profondo circa 30 metri, venivano calati nella galleria sottostante cibo e acqua necessari ai minatori. In questo modo i minatori avevano vanificato l'enorme spiegamento di uomini e di mezzi messo in essere dalla Montecatini.
Fu il senso di impotenza dinanzi alla abilità dimostrata dai minatori - conclude Betti - che fece saltare i nervi ai dirigenti della Montecatini che chiesero ed ottennero l'intervento della polizia".
Questo episodio, uno dei tanti che hanno costellato la travagliata storia della Miniera di Ribolla e le lotte dei minatori della Maremma, riassume in sé l'asprezza della lotta ed i sacrifici che i minatori dovettero affrontare per battere in primo luogo quella concezione che "guidava" i comportamenti del padronato e delle forze politiche allora al governo e cioè quella concezione impersonata dall'allora Ministro dell'Interno On. Scelba, che riteneva di dover affrontare le situazioni create dalla dialettica sociale con misure di polizia e che considerava la lotta dei lavoratori un problema di ordine pubblico.
Esso rappresentava senz'altro un esempio di quell'offensiva antisindacale culminata negli anni 1953 - 1955 nelle rappresaglie di massa e delle quali la soc. Montecatini fu, nel nostro territorio, l'artefice principale.

Gianfranco Filippini.

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Tratto da: "NOVANT'ANNI DI LOTTE SINDACALI" - Materiali di conoscenza e di riflessione sulle camere del lavoro e sulla C.G.I.L. in Maremma dal 1896 ai giorni nostri; a cura di Maurizio Ruffini e Adolfo Turbanti. Ed Periccioli.