IL MATTINO – Sabato 8 maggio 1954

LE SOLENNI ONORANZE ALLE VITTIME
DELLA SCIAGURA MINERARIA DI RIBOLLA


 

Quarantamila persone convenute d'ogni parte hanno testimoniato il cordoglio
di tutta la Nazione. Si lavora nelle gallerie per recuperare le ultime due salme.


Per i 43 morti della miniera di Ribolla, il dolore dei 40 mila venuti a seppellirli da ogni parte d'Italia.
Ma in quel dolore c'erano brividi di ansia.
Fosse il vento che scuoteva gli alberi e sollevava la polvere delle strade, o quell'implacabile sole, o la visione limpida e selvaggia della brughiera e dei colli maremmani che circondano il paese: fosse tutto ciò e altro che si nascondeva nel cuore della moltitudine, per le tre ore che durarono le esequie si rimase come in attesa di un pauroso evento.
L'ansia si placò solo al termine della cerimonia, dopo le parole di concorde pietà che uomini di tutte le tendenze pronunciarono dinanzi alle bare.
Poi la moltitudine si disperse con le sue bandiere e i morti rimasero al dolore delle famiglie, quel dolore che è soltanto dolore.

I funerali erano fissati per le 10,30, ma già alle 8 era quasi impossibile raggiungere in automobile Ribolla. Lunghe file di autobus ostruivano le strade di accesso, centinaia di macchine avevano trovato un parcheggio di fortuna in prati vicini alle prime case.
Appena dietro il paese cominciava lo sfilamento delle corone giunte da ogni regione: corone di parenti e di amici, di associazioni sindacali, di partiti politici, di associazioni. Ricordiamo, fra le mille, quella del Presidente della Repubblica, del Governo, della Prefettura di Grosseto, della Confederazione del Lavoro.
Percorso quell'interminabile corridoio di fiori, il cui profumo intenso dava il capogiro, si capitava in una selva di bandiere, lunga forse un chilometro: erano le bandiere di tutti gli operai d'Italia e quelle dei Combattenti, dei Municipi, delle associazioni sportive e studentesche: c'era anche quella dei minatori francesi, la cui delegazione era arrivata già ieri sera.
Si arrivava finalmente nell'ampio piazzale antistante il teatro, dove i carabinieri facevano fatica a tenere aperto un varco nella folla. Nel teatro non si udivano lamenti; solo qualcuna delle donne, a tratti, sollevava una mano, passandola come una carezza sul legno lucido delle bare o sull'elmo da minatore che stava sopra ognuna di esse.
Attorno alle 38 bare (due altri cadaveri erano stati tratti dalla miniera all'alba, uno stasera a tarda ora, ma si doveva ancora riconoscerli, e due erano ancora sepolti nelle gallerie) i parenti stavano chiusi in gruppi che avevano una immobilità statuaria.
Ma quando vennero gli operai a prendere la bruna cassa per portarla, a spalle, fuori dal teatro, una donna, la moglie di quel morto, si alzò in piedi e brancolando, a braccia alzate, gridò come una forsennata il suo dolore.
Gli altri si volsero sbigottiti a guardarla e tacquero finché uscì dalla sala. Poi un sordo mormorio, quindi un mugghiare di tempesta, finalmente un disfrenato clamore si alzò da quella tragica stanza, dove pareva fosse riunita tutta la popolazione dell'umanità. Svenne una delle donne e, come per un rapido contagio, altre si afflosciarono, chi tra le bare e chi tra le braccia dei parenti.

IL MESTO CORTEO

Molti dei presenti non ebbero l'animo di assistere a quella scena, che si rinnovò fuori sul piazzale, dietro gli autocarri su cui le bare venivano caricate.
Di questi che sono morti nella miniera, molti erano siciliani e calabresi; le loro donne, seguendo il costume mortuario del Sud, appena l'autocarro si muoveva, cominciarono una ossessiva lamentazione del morto, ricordando la sua figura e la sua vita. “O figlio mio com'eri bello; o figlio mio come correvi nei giochi quando eri bambino; o figlio mio come lavoravi quando fosti un uomo. Nessuno, nessuno era bello e buono come te”.
Gli autocarri avanzavano tra la folla, traendosi dietro lacrime, urli, canti isterici e nenie strazianti, e anche disperati silenzi. I silenzi dei maremmani, dei bergamaschi, dei marchigiani che hanno perso i loro cari, gente che ha un dolore muto.
Con molta fatica si formò il corteo. Lo aprivano un drappello di minatori, seguiti da un reparto di soldati; poi venivano le corone del Presidente della Repubblica, del Governo e del Prefetto di Grosseto, portate dai Carabinieri, quindi le altre corone e le bandiere.
La banda musicale di Roccastrada precedeva il primo autocarro. Dietro, i parenti, le autorità: il Ministro del lavoro Vigorelli, gli on. Targetti e Macrelli in rappresentanza della Camera, l'on. Di Vittorio con tutta la Segreteria della CGIL, l'on. Pastore, l'on. Fanfani, il Prefetto Varino in rappresentanza del Presidente della Repubblica, ed altri numerosissimi.
Il corteo seguendo un viale che fa una vastissima curva venne su per il paese, che ha ancora l'aspetto di un accampamento, con le sue case disseminate a scacchiera e le strade appena segnate, metà terra, metà erba.
Nella notte parecchie delle case erano state tappezzate di manifesti: la politica non aveva perso tempo a infiltrarsi nella sciagura. “Vogliamo giustizia – dicevano i manifesti. - I colpevoli devono pagare”.
Queste scritte e le frasi che, a voce alta, si sentivano pronunciare da alcuni, attizzavano quella inquietudine di cui abbiamo parlato. I lamenti altissimi dei parenti sembravano raccoglierla, vi furono momenti in cui parve che il furore fosse sul punto di esplodere.
Venne a buon punto la sosta dinanzi alla Chiesa parrocchiale, dove il vescovo Mons. Paolo Galeazzi impartì la benedizione alle salme e diede lettura del commosso messaggio inviato dal Cardinale maremmano Valerio Valeri.
Poi si continuò fino al piazzale, dove era stato eretto il palco per gli oratori.

Un saluto ai caduti

Qui le bare, sotto un sole che era diventato scottante, furono deposte a terra e allineate sotto il palco. Fu una nuova tortura per i parenti: molti di essi caddero privi di sensi; si sentiva una voce concitata, ingigantita dagli altoparlanti, invocare:”Presto, un dottore e dell'acqua qui sotto il palco”,
La folla, entrata nei prati che circondano il piazzale, formò un immenso semicerchio: pareva la solenne assemblea di un popolo contadino.
Parlò per primo il Sindaco di Roccastrada. Ricordò i morti, nominandoli uno per uno, ricordandone la figura. Seguiva un ritmo che prese la folla come una mesta litania.
Poi fu la volta di Di Vittorio. Egli fece un discorso commosso e pacato.
Se vi sono colpevoli – disse fra l'altro – se le commissioni d'inchiesta troveranno che ci fu da parte di qualcuno colpa o negligenza, noi chiederemo che siano resi noti e puniti. Ma questa tragedia deve soprattutto cementare l'unione di tutti coloro che lavorano e che sperano dalla scienza una più valida tutela della loro vita mentre svolgono la loro sacra missione.
Qualcuno, fra la folla, non aveva inteso il messaggio contenuto nel discorso di Di Vittorio.
Quando prese la parola Viglianesi, segretario dell'UIL, seguirono proteste e zittii; qualcuno dovette fare intendere la ragione a questi esagitati e gli altri oratori non furono più disturbati.
Il Ministro Vigorelli portò alle famiglie dei caduti il reverente e commosso pensiero del Capo dello Stato e affermò la precisa intenzione del Governo di fare piena luce sulle cause della sciagura e di assistere prontamente le famiglie delle vittime.
Un caldo appello alla fratellanza degli uomini nel lavoro fu infine espresso dal'on. Pastore della CISL, che, raccogliendo le parole di Di Vittorio, disse: “Chiediamo noi pure alla scienza di rendere sicuro e, se possibile, eliminare il lavoro disumano dei minatori. Le macchine dovranno sostituire l'uomo in questa spaventosa fatica di strappare alla terra le sue ricchezze”.

Altri resti recuperati

Fu dato da qualcuno l'annuncio che la cerimonia era terminata e finì la terribile prova di quegli sventurati parenti che erano rimasti per ore accanto alle bare dei loro cari.
I funerali non hanno, purtroppo, concluso la tragedia.
Restano cinque minatori da seppellire: tre sono stati tolti dalla miniera, ma non ancora riconosciuti: gli altri due devono essere o a quota 240 o a quota 200.
E' stata trovata anche una gamba che si presume appartenga ad uno dei minatori che sono stati sepolti oggi.
Quando l'ing. Riccardi diede queste notizie, alla direzione della miniera, volle anche farci alcune precisazioni. Disse che il direttore della miniera, ing. Lionello Patroni, secondo taluni allontanatosi dopo il disastro, si trovava invece in licenza a Roma e ritornò immediatamente e da tre giorni è nei pozzi con la squadra di soccorso.
Quanto alla sua competenza tecnica – ha aggiunto il Riccardi – posso dirvi che l'ing. Patroni è un ingegnere minerario specializzato in miniere di lignite.
Volle anche precisare che una commissione di minatori visitò poco tempo fa gli impianti e li trovò efficienti. Quanto alle paghe, ha smentito la voce che parla di salario di mille lire quotidiane: ci mostrò i libri – paga e vedemmo che i salari dei minatori oscillano fra le 45 e le 60 mila lire mensili.
Disse infine, l'ing. Riccardi che densi strati di grisou ostacolano il lavoro di ripristino del pozzo Camorra e che non sarà facile coprire la fenditura per cui il gas penetra nelle gallerie.
Alla famiglia di ciascun morto la Montecatini ha dato un milione; un altro milione lo versa la società di mutuo soccorso fra minatori.
Si prevede che la commissione d'inchiesta potrà scendere in miniera martedì prossimo.

GIORGIO BOCCA

- Documento gentilmente concesso da Norberto Sabatini -

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