“Il Tirreno”, martedì 3 maggio 1994.

La testimonianza del dolore di quei giorni nell'articolo di un giornalista che fu, allora, inviato a Ribolla

Vedi anche l'articolo:
I carabinieri segnalarono una situazione dell'ordine
  pubblico piuttosto tesa.
"Il Tirreno", 03/05/1994.

Angoscia e disperazione, nell'attesa di tragiche conferme

Articolo scritto per “Il Tirreno” il 5 maggio 1954 da Pilade Rotella.

 

RIBOLLA – Cento persone, forse, davanti al piccolo ambulatorio aziendale: nel silenzio reso più cupo dal cielo pesante di questo primo pomeriggio, una voce trasmessa da un amplificatore è la prima e forse unica cosa viva. E' istintivo ascoltarla, anche se sappiamo già che non dirà, per noi, nulla di nuovo.
<<Gli operai del secondo turno, dice, si presentino alla Lampisteria: faranno parte delle squadre di salvataggio>>.
La gente guarda in su, verso l'altoparlante, poi scuote la testa. A qualche chilometro, all'ingresso del pozzo, gli operai di tutti i turni, i vivi, sono da stamani alla ricerca di strappare con le unghie, coi denti, alla valanga che il destino ha rovesciato addosso, i corpi dei loro compagni di lavoro.
Vicino a noi una donna piange appoggiata ad una giovane, quasi una bimba, che la sorregge. E' Pia Pineschi, la donna. Ieri, come sempre, ha preparato per suo figlio Alideo il cestino del pranzo con quella cura che è difficile trovare in chi non sia mamma. Alideo sarà uscito fischiando e passato sotto le finestre di Rossana, avrà mandato alla donna che da pochi giorni aveva scelto come futura compagna della sua vita, un “arrivederci a stasera”.
Avrebbero sposato presto, Alideo e Rossana, sarebbero andati “nelle Americhe”.
Per fare prima a completare il gruzzolo occorrente,
Alideo Pineschi, minatore di 24 anni, aveva chiesto ed ottenuto che il suo trasferimento a Boccheggiano fosse annullato e che al suo posto andasse un amico di Sassofortino.
Oggi Alideo Pineschi è laggiù, nel pozzo maledetto, assieme con Ilo Borri, sposo da pochissimi giorni, con Angelo Vannini, vecchio minatore cui il tempo aveva insegnato a credere in una vita migliore, a Pietro Pietrini, un giovane la cui vita sorrideva insieme a coloro che dalla vicina Roccastrada, ogni mattina partivano cantando per il lavoro.
E la mamma, gli occhi rossi, ma nel cuore una malcelata anche se effimera speranza, è qui che aspetta e che si guarda intorno.
Un'altra mamma non trattiene le lacrime e dà libero sfogo alla sua disperazione: è Santina Rossi, madre di Rolando Tognozzi, un bimbo di appena 17 anni. Era uscito di casa ancora assonnato, ci dice. Forse i primi passi li ha fatti continuando ad occhi aperti il magnifico sogno che lo aveva sempre fatto sorridere.
Anche tu Giovanni Pallini sei rimasto con i tuoi compagni di lavoro. Noi ti conoscemmo ieri, vivo, e sempre in ansia per i tuoi 5 figli.
Matricola n. 1 fra i minatori delle nostre miniere, Petri Ferruccio, un anzianissimo, è rimasto nei pozzi che avevano visto la sua gioventù. Esempio per tutta la vita, ha voluto indicare anche in morte, soldato che non indietreggia, il suo posto.
La gente di Vetulonia, oggi e sempre, aspetterà, Livio Santucci. I suoi sette figli si serrano uno accanto all'altro ed insieme continueranno la vita che egli ha dato loro, con onestà e la bontà che caratterizzano il suo passaggio su questa terra.
E di Francesco Femia, gli amici hanno chiamato la sposa lontana e l'hanno sorretta nel lungo viaggio, mentre i suoi due figli bambini, hanno trovato nei figli dei vivi cento e cento fratelli.
Su, all'ingresso del pozzo, noi vivi ci guardiamo uno con l'altro. Se una volta sola nella vita ci siamo sentiti atrocemente inutili è stato quassù!
Avevamo intorno uomini dal volto nero per il duro lavoro e per la disperazione e ci sarebbe piaciuto abbracciarli e chieder loro scusa della nostra inutilità.

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